
Un signore sconosciuto.
di Renato Gioja.
Tutti
ne parlavano male ma non se ne capiva il motivo. In fondo non aveva fatto torti
a nessuno, la riservatezza era una sua caratteristica anche se spesso veniva
confusa con il desiderio e l’egoismo di vivere isolato. Chi lo
conosceva, ed erano in pochi, sapeva che si trattava di un vero signore, una
persona di riguardo, ma gli stolti difficilmente guardano alla persona ma più a
quelle piccolezze sulle quali costruire la critica ed il pettegolezzo. Persone
più avvezze all’osteria che a luoghi di dialogo; ambienti dove possono trovare soddisfazioni
più attinenti al loro comune modo di vivere.
Irene,
una ragazza che voleva mantenersi agli studi lavorando, pensava a quella
persona quasi con timore anche se non ne capiva la ragione. Non lo conosceva
nemmeno, ma nemmeno in paese lo conoscevano abbastanza, però lo criticavano! Non vi erano
motivi chiari, ma era come se dalla sua vicinanza potesse diffondersi un’influenza
malefica; quasi che nei suoi occhi vi fossero delle saette pronte a colpire.
Erano
tutte fantasie generate da invidia da parte del gruppo di comari che nel paese
si arrogavano il diritto di decidere chi fosse dalla parte del bene e chi no.
Irene
aveva bisogno di un reddito e, preso coraggio, si recò da questo signore per
offrire le proprie prestazioni come domestica anche se aveva poca esperienza in
quelle attività. Quindi,
nonostante fosse stata sconsigliata dalle solite comari timorose e pronte a
graffiare con la lingua, un giorno bussò alla porta di quella casa sita nel
centro del paese per chiedere se vi potesse essere bisogno di lei.
Fu
ricevuta con rispettosa cordialità ed il colloquio fu abbastanza breve. Irene
ebbe la promessa che sarebbe stata chiamata non appena si fosse manifestata la
necessità.
In
quella breve visita, Irene aveva avuto l’occasione di vedere com’era la casa in
cui quel signore abitava ed aveva acquisito informazioni che, volendo, avrebbe
potuto riportare alle solite comari pettegole. Era una casa più che normale; vi
erano anche antichità ma non erano tali da determinare lo stile
dell’arredamento, lo arricchivano solamente. Ad esempio, erano da collezione quel
vecchio archibugio poggiato sul ripiano del camino e quella scacchiera
finemente lavorata che, si intuiva, era certamente molto pregiata. Ma nel
complesso non vi era niente di enigmatico che potesse giustificare le
chiacchiere del paese. Comunque Irene non riportò alcuna informazione alle
comari avendo avuta la sensazione che sarebbe stato più opportuno non farsi
coinvolgere nelle chiacchiere.
Passarono
un paio di settimane e, ormai inaspettatamente, fu chiamata da quel signore e
così incominciò la sua attività presso di lui.
Frequentando
quella casa, ora Irene capiva quanto fossero insensate le supposizioni che
venivano fatte in paese su quella persona, sul suo modo di vivere riservato che
veniva scambiato per misterioso, sul suo presunto carattere ostile.
Dopo
qualche tempo, una sera, il signore iniziò un colloquio con Irene.
Scusi, Irene, ha impegni urgenti stasera? Posso
parlarle?
Irene,
incuriosita: Ma certo!
Pensò: Ho
sbagliato qualcosa? Mi vorrà licenziare?
Il
signore: Vorrei raccontarle qualcosa della mia vita, ovviamente se non
l’annoio.
Irene:
Si figuri! Però Le devo confessare che tante volte mi sono chiesta proprio
della sua vita e le chiedo scusa se mi sono permessa.
Il
signore: Ma no! Niente scuse. E’ una vita abbastanza normale, non ci sono
misteri!
E
continuò: Mi chiamo Michele Romani, sono originario di Genova, ho viaggiato
molto e sono qui da circa 15 anni. La mia vita sul mare mi ha impedito di avere
una famiglia tutta mia ma in realtà ho tante famiglie. Lei mi può chiamare
Michele. Sono mesi che è da me e l’apprezzo. So che mi posso fidare.
Irene: Grazie
signor Michele. Grazie per la fiducia.
Il
signor Michele proseguì il racconto: Vede, una ventina di anni fa io ero al
comando di una nave. Non era molto grande ed era impiegata su un breve tragitto
nelle isole Eolie. Era una rotta percorsa centinaia di volte e mai era successo
alcunché come incidenti o avversità.
Però quella sera fu terribile.
Noi non saremmo dovuti uscire perché c’era un tempo
impossibile ma ci segnalarono la presenza di una imbarcazione in difficoltà.
Non era stata una comunicazione telefonica ma alcune
signore, che conoscevamo, erano venute al molo nella speranza di vedere
rientrare quel peschereccio che non aveva dato notizie se non che era tra onde
altissime.
Domandammo come mai erano venute al molo e ci
comunicarono la loro preoccupazione, chi per il marito, chi per un figlio, chi
per il fidanzato. Erano davvero impaurite ma la speranza non le abbandonava.
Ci guardavano con quella fierezza tipica delle donne
siciliane e non si permettevano di chiedere il nostro aiuto. Ma noi sapevano
cosa dovevamo fare; era il nostro dovere. Dovevamo andare! Non c’era bisogno di
dirlo, non ci voleva il mio comando. Anche altri avrebbero fatto la stessa cosa
se fossimo stati noi in difficoltà.
Irene: Non
avrei mai immaginato un episodio simile!
Il
signor Michele: Prendemmo quante più lampade potemmo, canotti, salvagente e
togliemmo gli ormeggi.
Iniziato il viaggio, chiamai la capitaneria avvertendo
del motivo della nostra partenza. Ci sconsigliarono, ma capivano che si
trattava di portare aiuto. Avrebbero avvertito la Guardia costiera per
aumentare la partecipazione alla ricerca.
Accendemmo tutti i fari per essere visibili nel buio
della notte; vi era tempesta, la nave cavalcava le onde per poi quasi
inabissare la prua. Mai visto un mare così!
E poi li vedemmo. Fu Gennarino, il napoletano, a dare
la voce.
E’ viccann, stann lloch. Eccoli, stanno là.
Aveva visto bene. Il peschereccio era a luci spente e
veniva sbalzato dalle onde. Riuscimmo ad avvicinarci ed ad agganciare
l’imbarcazione. Tornati in porto, però, il comandante del peschereccio dette la
cattiva notizia di aver perso un uomo e, purtroppo ora in paese vi era una
vedova in più. Il fatto era avvenuto prima che arrivassimo noi e ben lontano
dal punto d’incontro.
Anzi, come spiegò il comandante, era successo che
l’uomo era caduto in mare almeno due ore prima e, benché le ricerche fossero
state immediate, non era stato trovato. In conseguenza della ricerca e con il
protrarsi della navigazione avevano esaurito le batterie per cui erano rimasti al
buio.
Ora le donne sul molo circondavano la moglie del
marinaio sparito portando la loro solidarietà. Purtroppo era un rituale che
spesso si verificava tra quella gente di mare; persone che volentieri avrebbero
lasciato quel lavoro. Ma era la loro vita come era stata la vita dei loro
genitori. Speravano non sarebbe stata quella dei loro figli.
Irene
si era commossa e quasi piangeva: E la famiglia?
Il
signor Michele: Quella divenne la mia famiglia, nel senso che da allora
provvidi io a sostenere la vedova ed i suoi due figli.
Irene:
E poi?
Il
signor Michele: Poi successe che il figlio più grande si laureò in medicina,
a Palermo, e divenne medico militare. Il più piccolo invece restò con la madre fino a quando fu possibile.
Poi frequentò l’Accademia Navale ed ora è su un incrociatore per seguire le
orme del padre.
La madre abita a Palermo con il figlio maggiore.
Ed io sono qui a pensare al mio passato, ai tanti
episodi vissuti, alle tragedie! Questa vita mi ha forgiato al punto da farmi
stancare di me stesso.
Mi sono chiuso caratterialmente, ma come si può essere
sereni quando si sono vissute tante vicende, partecipato a tanti dolori?
Ma non mi sento solo. Sono con me tante famiglie di
naviganti a cui il mare ha tolto la vita. E’ il suo prezzo e vuole che venga
pagato! Io le aiuto, fin che posso. Sono loro la mia famiglia.
Irene
era davvero addolorata. Addolorata per quel racconto, addolorata per il
comportamento che aveva avuto il paese verso una persona di cui non conosceva
nulla. Si erano sentiti in diritto di giudicare.
Quella
sera Irene andò via davvero triste ma aveva capito che doveva fare qualcosa per
quel signor Michele che di malefico non aveva nulla, anzi era migliore di tanti
altri. Il
giorno dopo andò ad incontrare le pettegole del paese. Da quel momento tutto
cambiò, nacque il rispetto per quella persona, il ricordo di una disgrazia sul
mare fu insegnamento per le comari di un paese che non aveva niente da
raccontare.